16 marzo 2010

L'acchiapparatti

Titolo: L’acchiapparatti

Genere: Fantascienza e Fantasy
Autore: Francesco Barbi
Editore: Baldini Castoldi Dalai

Pubblicato in punta di piedi nel 2007 dalla casa editrice Campanila con il titolo di ‘L’acchiapparatti di Tilos’, il romanzo fantasy di Francesco Barbi ha vissuto un lungo periodo di quasi anonimato dovuto alla mancanza di un vero e consistente marketing editoriale. Ora, grazie all’interesse e all’entusiasmo della casa editrice Baldini Castoldi Dalai, viene riproposto in una nuova edizione e con una copertina dalla grafica accattivante, con il titolo abbreviato in ‘L’acchiapparatti’.
Sopravvissuto all’oblìo dell’indifferenza grazie al passaparola dei lettori, ‘L’acchiapparatti’ si è rivelato una delle più belle e inattese novità del panorama fantasy italiano. Scritto con una certa sfrontatezza, inusuale per il genere, il romanzo assume da subito un ritmo incalzante, caratterizzato da un linguaggio alla portata di tutti e senza concessioni ad arzigogoli che fanno soltanto perdere il filo del racconto.

Con personaggi al limite dell’improbabile, ‘L’acchiapparatti’ si caratterizza per la spontaneità della trama, a tratti commovente e sempre e comunque avvincente, un viaggio rocambolesco tra presagi e inganni, esecuzioni ed evasioni, attraverso atmosfere cupe e sanguinarie che rievocano gli aspetti più grotteschi dell’Alto Medioevo. Una storia appassionante, tanto insolita quanto indimenticabile, in cui convivono suspense e orrore, tenerezza e ilarità.

Trama
«Furti, razzie, stupri, omicidi. Numerosi erano i crimini commessi in quell’epoca nelle Terre di Confine. Poiché scelleratezza e barbarie imperversavano in ogni dove, le punizioni e le condanne, sommariamente assegnate, non potevano che essere molto dure…

Ogni paese aveva il suo sistema. A Brunosco l’esecuzione si attuava tramite impiccagione, una pratica piuttosto banale. A Burik il reo veniva interrato fino al petto e quindi lapidato dalla folla. Sulle mura di Tambulin i condannati erano lasciati a penzolare per giorni in gabbiotti di ferro.
A Fontecheta si legava il malcapitato a un masso e lo si gettava nel Riomaggiore, mentre sulle piazze centrali di Fortevia e Valbel erano sempre pronti i patiboli per le decapitazioni. Nel fossato di Tilos, infine, il condannato correva nel vano tentativo di sfuggire a un branco di cani affamati.
Ma era il signore di Giloc a vantare lo spettacolo di gran lunga più eccitante. Qui, la pena di morte si chiamava Il Buco.»
Pochi a Tilos conoscono il nome di Ghescik. Lui è soltanto il becchino, l’ometto gobbo e storpio che vive al cimitero, ai margini del paese. Pochissimi sanno che coltiva una passione insana per la feldspina e gli scritti antichi. Solo lo strambo acchiapparatti gli è amico. Notte fonda. Al sicuro tra le mura della casa-torre diroccata, Zaccaria sta rimproverando uno dei suoi gatti quando qualcuno bussa alla porta.
Il becchino si presenta con un libro rilegato in pelle scura, che sostiene di aver vinto grazie a una scommessa con lo speziale. Risale a epoche in cui la magia non era stata ancora messa al bando e sembrerebbe contenere le memorie di un defunto negromante. Ghescik non fa parola dello strano diadema rinvenuto in un sotterraneo della “torre maledetta”, ma ha un solo modo per scoprire se certi suoi sospetti sono fondati: far tradurre il libro a Zaccaria che, inspiegabilmente, ha sempre avuto grandi doti come decifratore delle lingue arcane…
Inseguiti dagli sgherri dello speziale, becchino e acchiapparatti verranno catapultati nei meandri di una vicenda terribile che non coinvolgerà i soliti eroi, ma una compagine di personaggi inconsueti: un cacciatore di taglie sfigurato, una prostituta dalle molte risorse, un gigante che parla per proverbi sgrammaticati e una schiera di feroci tagliagole. Ma quale legame esiste tra il misterioso diadema e la terrificante creatura rinchiusa da secoli nelle segrete di Giloc?

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